Come cambiare prospettiva sul caos sociale odierno: dietro alle nuvole cariche di pioggia, i primi raggi di sole.
Il nome Salaam Remi dirà poco ai più, eppure questo produttore cresciuto nel Queens ha apportato il magico tocco finale a molti pezzi di Amy Winehouse (nel suo album di debutto Frank), di Nas, dei Fugees, per poi arrivare a mete più pop con Fergie ed Estelle. Nella sua carriera ha collaborato, tra gli altri, con il master dell’hip hop conscious Black Thought, ma anche con Ne-Yo e Akon, passando per il reggae di Stephen Marley, Beenie Man e Sizzla.
Ora, in un periodo davvero turbolento per gli afroamericani, il Nostro decide di dire la sua attraverso il suo nuovo album Black on Purpose dal quale è tratto questo brano imbastito a due mani con il fuoriclasse del nu-soul Bilal. La sensibilità hip hop di Salaam e l’attitudine jazzy di “brother” Bilal si sposano in una canzone in cui la protesta insita nel motto Black Lives Matter diventa sottile e ridonda di bellezza.
Non esistono solo i pugni chiusi e l’antagonismo del Fight the Power dei Public Enemy: l’attitudine militante della “black America” viene qui confezionata dentro a un suadente involucro di velluto, lo stesso che fu di Marvin Gaye quando decise di abbracciare, sul finire dei ’60s, le istanze della lotta per i diritti civili, a dispetto dei dettami della sua etichetta Motown (una fabbrica di musica nera fatta per compiacere i bianchi).
Poi sarebbero arrivati il funky e la Blaxploitation, James Brown e Isaac Hayes a restituire a quei suoni la loro anima, che era anche orgoglio razziale, sensualità carnale, senso di dignità.
Che la storia si ripeta cinquant’anni dopo è solo segno che la pioggia deve continuare a scorrere prima di poter ribaltare definitivamente la prospettiva e rivedere il sole.