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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Kelly Lee Owens: Arpeggi
Dajana Roncione scànsate

Un pezzo dei Radiohead del 2007 suonato come fosse un pezzo dei Radiohead del 1999, oggi.

C’è stato un momento in cui Kelly Lee Owens ha pensato di non farcela: «Non ero sicura di riuscire a tornare di nuovo a comporre». Provare a sezionare una cover dei Radiohead senza restarci sotto evidentemente aiuta. Da cui il suo consiglio a qualunque aspirante musicista che si ritrova in un fosso creativo: «Quando ti rendi conto che stai facendo fatica a tirare le fila del discorso, prova a lavorare sui dettagli, ostinatamente, finché senti che non c’è più nessun dettaglio su cui poter mettere le mani.»

Perché lì sta il diavolo, si sa. E la Owens in questo è maestra – rivelare le briciole atomiche di inferno che stanno in qualunque granello digitale, senza mai però scollinare nel baratro della musica depressiva. Le sue canzoni iniziano in un posto e finiscono sempre altrove, e il modo con cui lavora i livelli da campionare uno sopra l’altro appare semplice ma è tutt’altro che semplicistico. È, piuttosto, una costruzione intuitiva, approcciata su scala microscopica: ogni singolo, minuscolo suono sboccia in maniera ricorsiva, diventando adulto grazie a iterazioni che variano costantemente sul proprio stesso tema, per accumularsi via via in un tutto sempre più ben delineato, seppur in costante dilatazione.

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Questo, il delicato ma efficace schema con cui si avvicina alla versione autografa. E questo, soprattutto, il motivo per cui la Weird Fishes / Arpeggi di In Rainbows inizi a riconoscerla solo a partire da metà in poi, in una decostruzione nerd che finisce per isolare ogni suo singolo elemento in una scala di grigi glaciale e trasla l’originale scambio chitarristico in un universo-Warp che avrebbe mandato fuori di testa il Thom Yorke immediatamente pre-Kid A.

Non che paghi molto, un atteggiamento alla scrittura del genere, al giorno d’oggi. Richiede una dose di concentrazione non indifferente – per riconoscere ogni rotella nascosta del meccanismo – che sempre meno ascoltatori sono disposti a cercare, ancor prima che trovare. Deve essere per quello che, quei pochi, se la godono così tanto.

Kelly Lee Owens 

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