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Zakk Sabbath: Black Sabbath
50 anni e non sentirli

Un nuovo morso al sabba nero: non sarà buono come un pipistrello vivo ma ci va molto vicino.

Ha senso fare una cover dei Black Sabbath nell’A.D. 2020, quando peraltro Ozzy è ancora vivo (anche se non proprio vegeto)? Che cosa bisogna omaggiare?

Per esempio i cinquant’anni dell’uscita dell’album omonimo del gruppo di Birmingham, quello che avrebbe cambiato per sempre la storia del rock ingravidandolo di umori doom, oscuri e decadenti. Mica poco. A organizzare la festa di compleanno sono i Zakk Sabbath (un nome, una garanzia) ossia il gruppo formato da Zakk Wylde dei Black Label Society alla chitarra e voce (che ha contribuito anche agli album di Ozzy Osbourne dal 1988 al 2007), Blasko (Ozzy Osbourne, Rob Zombie) al basso e Joey Castillo (Danzig, Queens of the Stone Age) alla batteria.

La band tributo farà uscire a settembre Vertigo (nome dell’etichetta per cui uscì Black Sabbath il venerdì 13, 1970), una reinterpretazione del lavoro originale da cui è estratta questa title-track. Per mantenere il più possibile alta la fedeltà (in tutti i sensi) le registrazioni si sono svolte in analogico e sono state eseguite su due nastri, praticamente in presa diretta. Per la stessa ragione il disco non verrà distribuito in digitale.

Non è da ora che il “vintage” è tornato di moda, ma gli Zakk Sabbath paiono fare la differenza, in quanto perpetrano nel modo più autentico lo spirito di un tempo in cui il rock era grezzo, sporco, cattivo e usciva direttamente dalle viscere per opporsi a un sistema di valori. Dopo Black Sabbath il mondo della musica non sarebbe più stato lo stesso. Al suo confronto anche gli episodi più psichedelici dei Beatles e quelli più drogati dei Rolling Stones parevano roba da educande. Gli anfratti cupi del ventre proletario inglese del dopoguerra sfiatavano qui in una litania che toccava le abissali gravità delle tenebre.

Se Ozzy è un’icona un motivo c’è: non è solo la parodia barcollante della rockstar eccessiva che addentò parossisticamente un pipistrello, ma è l’emblema di colui che lo stato d’ombra ha saputo convertirlo prima in musica, poi in vita, sopravvivendo a entrambe attraverso mezzo secolo.

Zakk Sabbath 

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