Un bluesman che mette a tacere anche i blackster.
È andata così. Per decenni sei stato un hobo, non si capisce bene se sei nato nel 1941 o nel 1951, hai viaggiato per tutto il mondo arrangiandoti come potevi sposando due donne e mettendo al mondo cinque figli, inizi a suonare davvero nel 1969 insieme a gente come Lightnin’ Hopkins e te la svanghi qua e là tra lavoretti tirati insieme e sessioni in studio fino a pubblicare il tuo primo album con tutta calma nel 2004. Ecco, quando hai fatto tutto questo e anche di più, in cosa puoi credere?
Non si sa quanto ci sia di romanzato nella biografia di Seasick Steve, e sinceramente poco importa. La sua attitudine e la sua musica parlano da sé. Se il blues in odore di country più sporco e genuino potesse avere un suono oggi, sicuramente sarebbe quello delle sue bizzarre chitarre fatte in casa. E come ogni storyteller che si rispetti, il testo non è mai superficiale: Church of Me è il nuovo singolo dell’album appena uscito, Love & Peace, ma potrebbe benissimo essere stata scritta un secolo fa tanto suona visceralmente familiare. Cruda e cazzuta quanto le sue parole, che parlando di sé invitano in maniera spiccia a non menarla troppo con “ciò che dicono sarebbe meglio fare”, ma darsi una mossa e farsi una vita da soli, lasciando agli altri le imposizioni degli insegnamenti della chiesa. Un concetto che è stato espresso mille altre volte da centinaia di band borchiate e con il face painting, ma che qui, svestito della carnevalata estetica tipica di alcuni sottogeneri metal, risulta proprio per questo terribilmente efficace e credibile.
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Chissà che si sarebbero detti al bar, lui e Lemmy: probabilmente nulla. Un goccetto, una cicca e uno sguardo furtivo con sorriso complice di chi la sa lunga. Steve è uno dei musicisti più tosti degli ultimi anni, non fatevelo scappare.