Come spazzare via le carnevalate goth in meno di cinque minuti.
È un dato di fatto che il contesto in cui alcune band si muovono ne influenzi in maniera determinante il suono e il mood. In alcuni casi può essere una reazione opposta: il glam colorato e sfrontato degli Hanoi Rocks (direttamente dalla fredda e buia Finlandia) o il death-rock vizioso e nerissimo dei Christian Death (germogliato nelle terre assolate della California) sono solo due esempi. Ma è più facile trovarsi di fronte a una vera e propria fotografia. Reale, cruda, spietata. Quindi, a livello di location in senso stretto, se vivi a Minsk in Bielorussia ci sono poche possibilità che tu voglia diventare una popstar con motivetti simpatici in salsa latino-americana.
I Molchat Doma (Молчат Дома) già dal nome (“Le case sono silenziose”) descrivono il loro paesaggio, dove l’individuo è intrappolato e quasi schiacciato da casermoni figli di un regime che nonostante i cambiamenti politici restano lì, asfissianti, a perenne memoria di alcuni dei decenni più neri che l’uomo moderno ricordi. Fotografie in bianco e nero ed espressioni prive di sorrisi sono i vestiti indossati da Kleta, puro post-punk scuro dove l’accezione cold non è una pura formalità, ma una descrizione fisica di ciò che traspare dall’ascolto del pezzo. La mancanza di originalità è compensata da genuinità, credibilità e concretezza espressiva che fanno guadagnare spessore al brano, dove anche il lo-fi della registrazione diventa un valore aggiunto.
«No Tears for the People of the Night» cantavano i Tuxedomoon. Sembra quasi di sentirli, i Molchat Doma, mentre a capo chino e con lo sguardo stanco ma fiero, rispondono «No Tears». Toccante e splendido allo stesso modo.