Uscire dal carcere e strizzare l’occhio alle chart senza snaturare lo spirito indomito del reggae.
Cosa fa un artista normale durante uno hiatus di dieci anni? C’è chi dipinge, chi scrive poesie, chi si dedica alla famiglia e al giardinaggio, chi a progetti paralleli. Buju Banton no. Lui si fa arrestare in flagrante per spaccio di cocaina e detenzione d’arma da fuoco e finisce in galera.
Non che il fatto offuschi la sua fama visto che, tra un processo e l’altro, riesce persino a vincere un Grammy Award per il Best Reggae Album, tanto che il suo disco del 2010 Before the Dawn è un preludio a una nuova alba, non a un tramonto. Rilasciato nel dicembre 2018 dal McRae Correctional Institution, si mette al lavoro per Upside Down 2020, l’album della rinascita definitiva.
Per farlo coagula musicisti del calibro di Stephen Marley e John Legend, Stefflon Don e Pharrel Williams. Quest’ultimo, fautore del groove di Cherry Pie, trasforma il brano da un reggae per rastamen fumati in un patinato pezzo dall’allure radiofonica e alla moda.
Non lasciamoci però ingannare dalle apparenze. Buju in carcere non si è addomesticato e, con uno spirito più indomito che mai, ci tiene a precisare che la sua musica è viva per guidare il risveglio delle coscienze che ultimamente hanno determinato le nuove rivolte del popolo afroamericano. Il dancehall e il reggae ritrovano qui la loro anima di “combat music” dove il One Love del profeta Marley trasmuta nel verbo di un esacerbato power to the people.
Che la giustizia sia sommaria e faziosa Banton l’ha sperimentato sulla sua pelle. Cherry Pie è solo – appunto – la ciliegina sulla torta.