Dall’Irlanda all’Islanda, in cerca di una dimensione antica, profonda, naturale.
Una consonante che cambia tutto. Classe ‘88, avviata alla musica da bambina, Dubliner d’adozione nella prima parte della sua avventura artistica, la pianista e cantautrice ceca Markéta Irglová in fondo è sempre stata più islandese che irlandese. Va detto che la ragazza era ben integrata nell’isola smeraldina grazie alla sua connessione con Glen Hansard: insieme al barbuto songwriter tutto cuore ha recitato nel film indipendente Once, un bel balzo di carriera per entrambi (per Falling Slowly ci è pure scappato l’Academy Award per la miglior canzone originale), ha scritto altri due ottimi album come Swell Season e ha intrecciato un legame sentimentale, poi finito.
Dei due, però, Markéta era la più algida, la più eterea, la più Björk. E alla fine doveva capitare: si è trasferita nell’isola dei vulcani, dove si è sposata, ha imparato la lingua, e dal 2020 è fresca di naturalizzazione islandese.
Terra pervasiva, quella, che pare influenzare inevitabilmente la musica di chi ci atterra per più o meno tempo (Damien Rice, irlandese purosangue, è un altro esempio: basta sentire il suo ultimo album). E sicuramente un posto adatto per isolarsi anche senza emergenze sanitarie, ripegarsi su se stessi e creare cose nuove dopo gestazioni solitarie. Markéta dice la sua con Quintessence: un poema alla natura, che è chiaramente una natura gelida, terribile e meravigliosa composta di boschi innevati e geyser. A Emilíana Torrini, islandese nonostante il nome nostrano, lascia la voce principale, limitandosi alla composizione e ai cori. Ad Aukai, musicista incontrato per caso, o per serendipità come lei stessa dice, fa suonare il ronroco, un bizzarro strumento a corde argentino. Il risultato è elegante, lento, evocativo.
Per chi si è disabituato alla gente e cerca un prolungamento di quarantena, un po’ più di tempo per accordarsi ai ritmi ancestrali e ritrovare l’essenziale è l’ascolto perfetto.