Tornare indietro di cinquant’anni per ridare nuovo smalto a un classico del cantautorato inglese.
Quando il COVID-19 è esploso nel mondo, una delle cose che mi ha reso felice è stata vedere che sopra la Cina, così come sull’Europa o gli Stati Uniti, la tipica nube di inquinamento era scomparsa. Chiuse le fabbriche, spenti i motori di miliardi di auto – in quel momento manco c’era freddo per cui anche i termosifoni non erano spinti al massimo. Tutto questo, insieme ad altri mille fattori, ha ridimensionato l’inquinamento globale.
Nel 1970, quando Cat Stevens stava registrando il suo quarto disco in studio – l’epocale Tea for the Tillerman – deve avere spesso buttato un occhio al cielo sopra la sua testa facendosi ispirare non poco, visti tutti i gioielli di canzoni presenti in quell’album. Non solo, deve avere anche guardato i telegiornali dell’epoca dove si davano notizie preoccupanti riguardo l’ambiente.
Lui, che all’epoca di anni ne aveva poco più di venti e che viveva in un mondo in rapido cambiamento, scrisse alcuni inni ecologisti tuttora attuali. Talmente attuali che, grazie a una chiacchierata con suo figlio (il vero artefice della sua rinascita), ha deciso di reinciderli, aggiungendo qua e là qualche strumento in più rispetto alle versioni originali.
Il disco, in uscita il 18 settembre e intitolato Tea for the Tillerman 2, contiene anche una rivisitazione di Where Do the Children Play?, cioè una delle migliori canzoni tratte dall’immenso songbook del cantautore inglese di origini greche.
Sono passati cinquant’anni e il cielo sopra le nostre teste non è cambiato poi così tanto. Tanto vale riascoltarsi Cat Stevens, attuale ora come mezzo secolo fa.