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Bob Mould: American Crisis
I sessanta sono i nuovi venti e io ne sono la prova vivente

La voce del post-core americano questa volta è incazzata come una iena.

Com’è che diceva quel modo di dire? Anno bisesto, anno funesto.

Bisognerà inventare un nuovo modo di dire che rappresenti un po’ meglio questo 2020 perchè tra pandemie globali, persone innocenti ammazzate dalla polizia e proteste varie ed eventuali quest’anno non è solamente funesto, è proprio un anno di merda.

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Deve aver pensato proprio a questo Bob Mould – classe 1960 e voce dei seminali Hüsker Dü – perché a questo giro il nostro amato pelatone è davvero parecchio incazzato. Se la prende con gli Stati Uniti, ma anche con i politici che vogliono dividere le persone, con chi racconta frottole, con l’ISIS, con chi usa troppo Internet (e Twitter), con le associazioni pro-life (gli antiabortisti, insomma) e chi più ne ha, più ne metta.

Quello che maggiormente stupisce e convince di American Crisis è però la musica: dura, tagliente, ulcerosa come manco i gruppi formati da ventenni riescono a essere. E per un signore che a ottobre compirà sessant’anni, non è poco.

Nel frattempo, incrociamo le dita e proviamo a vedere anche le cose positive che questo 2020 ha in serbo – per esempio, cerchiamo di rosso il 25 settembre, giorno nel quale sarà pubblicato Blue Hearts, il quattordicesimo album in studio di post-core Bob.

Bob Mould 

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