Il centrocampista che finalmente segna il gol del riscatto.
Una vita da mediano cantava anni fa il Liga nazionale. Al netto della bellezza o meno del pezzo, il testo descriveva quella posizione in cui ti fai il mazzo tutto il tempo, godi continuamente di riflesso del successo degli altri a cui tu hai contribuito, ma in qualche modo rimani sempre lontano dalle luci della ribalta. Ti sbatti, ma in pochi si ricordano di te. Un po’ come quel genio di Jon Carin, da più di trent’anni assorbito dal mondo Pink Floyd: ha suonato con tutte le formazioni con quel nome da metà anni ‘80 in poi, sia live sia in studio. E ce lo siamo ritrovato in ogni tour solista dei vari membri. Chi lo nota? Esclusi i fan accaniti, nessuno. Una situazione che, seppur remunerativa, può risultare scomoda a livello di soddisfazione personale.
Chissà, forse è questo che pensa Jonny Polonsky, un nome che ai più non dirà nulla ma che sul curriculum delle collaborazioni ha gente come Maynard James Keenan, Johnny Cash, Neil Diamond e Donovan. I suoi dischi sono sempre stati pieni di ospiti eccellenti, ma per qualche motivo non hanno fatto davvero esplodere il cuore alle masse. Eppure il talento c’è.
Ad esempio, “Sing in the Window” (dal nuovo Kingdom of Sleep) è un vero piccolo gioiello indie-pop, sempre in bilico tra melodia e ricerca del dettaglio, tra una cura maniacale degli apparentemente semplici arrangiamenti e un refrain che si incolla nel cervello al primo ascolto. Leggera, piacevolmente orecchiabile, con un crescendo fatto di strati sonori che si aggiungono man mano sul riff principale fino al climax finale.
Se anche a questo giro va male a livello personale, potrebbe vendere il pezzo a Corgan, intitolarla “Tonight Part 2” e sbancare con le royalties. Io lo farei.