Trve metal. Dato costantemente per morto, invece non muore mai.
Probabilmente criogenizzati in una capsula di qualche laboratorio, tornano i Cirith Ungol, e all’improvviso si ha davvero l’impressione che tanti decenni non siano mai passati. Sentire come nel 2020 l’esatta formula del loro epic metal oscuro, doomeggiante e cavernoso (a onor del vero: la versione “power” americana) possa risuonare ancora così efficace è uno di quei misteri che – fortunatamente – ancora ci lasciano piacevolmente sorpresi.
Così risale in superficie la voglia di tornare a indossare il chiodo (non quello in finta pelle) e scrivere sui muri frasi da defender come “TRVUE METAL NEVER DIES”, di nuovo liberi nelle lande adolescenziali di camerette, dischi maledetti e toppe sul giubbetto. Quando Tolkien e le saghe fantasy provavano a dare un senso a una società che sempre di più si stava distanziava da quei territori. Ebbene sì, anche in California.
E se in molti ancora sicuramente si ricordavano la grandezza di lavori come King of the Dead (1984), quasi nessuno sperava in un ritorno, dopo trent’anni, di siffatta caparbietà e attitudine stoica al Verbo del Metallo. La magistrale Before Tomorrow ha la struttura canonica del brano heavy metal e possiede esattamente tutto ciò che è necessario a rendere onore alla perfetta portata delle intenzioni. Il redivivo Tim Baker regala soddisfazioni con la sua voce profonda e sempre più personale, mentre il chorus è degno degli annali di Metal Archives.
Scioltasi dopo il quarto lavoro, Paradise Lost, nel 1991, e poi riunita sotto il trasporto emotivo del nuovo bassista Jarvis Leatherby nel 2017, la band di Ventura riscopre se stessa, esattamente come si era lasciata, più o meno coi membri originali, fotocopiandosi in una più che efficace teletrasportata nell’era metallara contemporanea. Forever Black è il titolo del nuovo lavoro e, con tutti i benefici nostalgici del caso e un ritrovato èpos narrativo, non poteva chiamarsi altrimenti.