La foresta sospesa su un’antica Nota Cura.
Quest’anno Seventeen Seconds compie 40 anni. Proprio da quel capolavoro dei Cure venne estratto un singolo che, più di altri, descriveva alla perfezione le atmosfere di quella poetica post-punk venata di dark (che poi diede vita a mille sottogeneri, ma il discorso è lungo). A Forest, piaccia o meno, è la Stairway to Heaven degli anni ‘80, e proprio per questo ne esistono miriadi di cover. Alcune piacevoli, altre grottesche.
Il lavoro di Alva Noto si è sempre caratterizzato per essere minimalista e pieno di gusto, dando la giusta importanza sia al suono in sé che alla sua controparte troppo spesso dimenticata – il silenzio. Il suo approccio nei confronti del pezzo di Smith, Gallup e Tolhurst (che qui erano ancora una band vera e propria e non un, pur valido, solo project mascherato. Ma anche questo è un discorso lungo) è inedito: la centralità del brano (la batteria robotica e il basso metronomico) viene completamente a mancare, lasciando spazio alla melodia, dilatata per nove minuti ed espansa nel piano in cui si sviluppa. Si arriva così – senza nemmeno provare a nasconderlo troppo – ai confini di un certo ambient intelligente, senza sconfinare mai nel banale esercizio di stile. Alva prende le partiture, le manipola e le distende a suo piacimento, trasformando le angosce insite nell’originale in una sensazione onirica che fa dell’impalpabile la sua forza.
Questo lavoro di decostruzione regala nuova vita al brano e ne giustifica ampiamente la reinterpretazione. Una piacevole sorpresa, un divertissement che giustamente si prende sul serio, per un artista che continua a non deludere.