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Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

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...Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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The Jaded Hearts Club: Nobody But Me
Quasi come al Cavern no?

Supergruppi travestiti da cover band con i controfiocchi.

Siamo in un’epoca dove ogni collaborazione estemporanea ha un’uscita ufficiale. Pensate: è come se gli Spastik Children o i Pap Smear fossero stati accessibili a tutti all’epoca. Un po’ ciò che successe con i Cult Hero, ma su larghissima scala, dato che oggi non si parlerebbe di un 7” stampato in poche copie ma di un brano ascoltabile da chiunque in qualsiasi momento grazie alle piattaforme di streaming.

Queste collaborazioni erano dei gioiellini, degli abbellimenti divertenti da mettere nei curriculum già gonfi di successo degli artisti di turno.

Bene, se preso con questo piglio, il singolo dei Jaded Hearts Club è figherrimo. Graham Coxon dei Blur, Nic Cester dei Jet, Sean Payne degli Zutons, Matt Bellamy dei Muse e Ilan Rubin (sotto la benedizione di Sir Paul Mccartney) già avevano suonato insieme dal vivo prima di un concerto di Roger Daltrey degli Who e in altre occasioni un paio di anni fa, e si sono ritrovati in studio per buttare giù questa cosetta.

La ciurma prende un classico degli Isley Brothers del dicembre ‘62 e lo risuona paro paro come se fossero dei novelli Misfits pre-hardcore (epoca Bobby Steele), inguainando il buon vecchio nothern soul in un abito rock’n’roll (giusto con qualche accessorio più modernamente radio friendly) e centrando il bersaglio con un pezzo già di suo irresistibile, a dimostrazione che la musica pop aveva detto tutto o quasi tra i ‘50 e i ‘60, (il resto sono state solo splendide – o meno – riletture, a seconda dei periodi). La band macina come se non ci fosse un domani e tra tutti spicca Matt: è veramente un piacere sentirlo suonare il basso come se fosse un Jerry Only indiavolato (e con una perizia tecnica mille volte superiore).

Non ci sono appunti da fare: se i ragazzi si sono divertiti così, meglio per noi. Dal pezzo traspare leggerezza, gioia di suonare assieme e urgenza, cose che per vari motivi (anche comprensibili) latitano un po’ nelle rispettive carriere da qualche tempo a questa parte. Nulla di serio, solo maledetto rock and roll. A palla, ovviamente.

The Jaded Hearts Club 

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