Ancora una una volta nel segno della psichedelia cazzuta.
Sembra ormai impossibile, data la qualità degli ultimi lavori, dubitare di un nuovo brano degli Elder. E con Embers, di nuovo, non ci sono possibilità d’errore. Il brano anticipa l’imminente Omens, quinto album per la formazione di Nick DiSalvo. «Per me, Omens è il nostro lavoro più completo: un set di canzoni che esprimono l’ampio respiro delle influenze della band».
Effettivamente, già dall’EP The Gold & Silver Sessions dell’anno scorso, sembrava che il tono più progressivo della band di Boston si fosse dedicato ancora di più all’essere diretto, lasciando maggior tempo alle parti che funzionano, senza necessariamente impartire una virata ritmica o senza – meramente – cambiare riff.
Embers funziona bene e i suoi undici minuti offrono uno scorcio ancora più maturo e consapevole, proiettando la band verso quello status – sempre più consolidato – di culto. I cinque minuti di coda del brano recuperano Mogwai, Rush, Colour Haze e suoni da Roadburn Festival.
Senza apportare nessun cambiamento stravolgente alle coordinate psych-rock fondanti, gli Elder si configurano come una delle realtà portanti di quel nuovo filone del rock cazzuto americano che ancora si lascia ascoltare per come è, mentre porta avanti l’ideologia della band nel furgoncino, che fa dei dischi, suona in giro per il mondo, fa altri dischi, e via così. Sembra poco, sembra semplice, sembra quasi scontato, ma chi sa come vanno le cose intuirà come tutto questo, lontano dalla plastica e dal marketing spietato della comunicazione, sia ancora speciale.