Il simbolo dell’eterna difficoltà nel separare l’arte dall’artista.
Ci sono un milione di problemi nell’avvicinarsi a un brano nuovo di Morrissey. Proviamo ad elencarne quattro.
Il primo è l’eterno paragone con gli Smiths, di cui Moz fu la voce, il messaggio e il simbolo, ma le cui note venivano perlopiù scritte (e si possono quindi ritrovare nei suoi lavori solisti) da Johnny Marr. Improbabile dunque ritrovare una Bigmouth Strikes Again part 2, perlomeno a livello musicale.
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Il secondo è l’antipatia indisponente che da sempre contraddistingue il Nostro, dote che va ben oltre il semplice caratteraccio, visto che più di una volta le sue botte di testa sono state pagate dai fan che ci hanno rimesso tempo e soldi (vedi annullamenti cronici di concerti all’ultimo momento senza un reale motivo – una rapida ricerca online porta a più di 150 date cancellate solo negli ultimi 10 anni).
Il terzo è un narcisismo totale, per cui nessun dubbio o vergogna lo ha frenato dal pubblicare materiale indecente, come l’ultimo album di cover che in un’altra epoca sarebbe rimasto nei cestoni dell’autostrada per anni.
Il quarto sono le sue quantomeno discutibili prese di posizione politiche, che sfociano spesso nel razzismo più ottuso e in un nazionalismo a dir poco curioso per un uomo nella sua posizione.
Se però si lasciano da parte (a fatica) tutte queste cose, ciò che resta è la musica. Musica che in casi come questo singolo sa ancora regalare emozioni come si deve. Il brano è molto bello, arrangiato nei dettagli senza risultare pomposo e la voce di Moz ci si posa sopra elegantemente con un incedere che è suo e solo suo. Peccato dover combattere con i punti di cui sopra prima di poterselo godere appieno.