Il cantastorie che desideravi arriva da dove meno te lo aspetti.
Jonathan Hultén è un artista completo. Di quelli rari. Non solo è da anni che con i Tribulation regala nuova linfa vitale a un genere moribondo come il gothic metal (anche se definirli così sta diventando riduttivo), nel tempo libero (che dio solo sa dove riesca a trovare) si dedica anche al suo progetto solista. Cosa per cui scrive, suona, si occupa delle animazioni dei video e delle copertine. Tutto in maniera eccellente, tra l’altro, con un risultato ben distante dal tipico progetto semi-DIY riuscito a metà.
Personaggio tanto quieto nella vita privata quanto esuberante sul palco, Hultén arriva alla seconda prova a suo nome, dopo un EP che aveva fatto strabuzzare le orecchie ai più. Da solo infatti risulta apparentemente distante anni luce dalla band d’origine, stacca le spine e prendendoci per mano ci accompagna in un mondo acustico, che per raffinatezza e genio esecutivo non può non rimandare ai maestri folk di fine anni ‘60 / primi ‘70, tra Tim Buckley, Nick Drake e perché no, Simon & Garfunkel. Un testo che è pura poesia, un arrangiamento sorprendentemente bello nella sua semplicità e armonie vocali immaginifiche per un brano che cattura i sensi al primo ascolto e che fa dimenticare completamente tutto ciò che c’è intorno. Già solo con questi presupposti il suo album imminente Chants from Another Place si prenota un posto non solo come disco dell’anno, ma del decennio.
Finalmente un folk singer folletto, non il solito hipster barbaleccato. Se l’umanità fosse dotata di sensibilità reale e gusto per l’Arte con la A maiuscola, avremmo lui come cantastorie: uno dei pochi veri artisti degli ultimi 20 anni.