Il lato nero e glaciale dell’Ungheria.
La commistione di generi (o crossover per chi ama gli inglesismi) ha donato al mondo moltissime perle, ma anche generato parecchi porci. In realtà il trucchetto per un buon lavoro sta nel mischiare due ingredienti all’apparenza immiscibili esaltando i pregi di entrambi senza snaturarne i rispettivi sapori. Facile a dirsi, ma mica è roba da poco.
Il suonare brani dall’anima tendenzialmente post-rock utilizzando come medium il black metal non è una novità (basti pensare ai magnifici ed inarrivabili Wiegedood), ma rimane una delle sorprese più gradite degli ultimi anni nel campo della musica estrema.
Questo pezzo degli ungheresi Witchthrone (da non confondersi con i quasi omonimi finlandesi fautori di un pregevole doom/stoner) fa da antipasto per il loro EP di debutto in uscita a fine marzo e contiene in gran parte tutto ciò di cui sopra: voci disgraziatamente dolorose, liriche sfiduciate, chitarre lancinanti e mid-tempo assassini che alternano atmosfere tra l’aggressivo e il melodico, usando come collante il trait d’union dato dalla “nerità” costante del mood. Una voce che ricorda più Mille Petrozza che il blackster di turno è la ciliegina sulla torta per una band che potrebbe far parlare molto di sé in futuro.