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Supergrass: Bury My Heart
Al di là di Oxford e del Regno Unito, oltre il britopop e la fottuta brexit

Una reunion ormai non si nega più a nessuno, ma questa potrebbe portare buoni frutti.

C’è stato un momento nel quale i Supergrass erano sulla bocca di tutti (non solo, una loro canzone era pure presente in una nota pubblicità televisiva). Ricorderete senz’altro tutto: erano i tempi di Alright, ovviamente.

Ben presto il trio si distaccò dalle semplici melodie con le quali si era fatto conoscere, prima abbracciando un suono in bilico tra Buzzcocks e Devo, poi sconfinando in territori che avevano più di un punto in comune con lo sporco rock’n’roll degli Stones. Il trait d’union si può trovare nella costante evoluzione del loro suono, una cosa non da poco se si pensa a certe altre band inglesi di quello stesso periodo che hanno continuato imperterrite a ripetere la loro formula vincente album dopo album, senza cambiare di una virgola.

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A distanza di dieci anni dal break-up e a venticinque dall’uscita del loro primo album, i Supegrass si sono riformati per una serie di date dal vivo che li terranno impegnati nei prossimi mesi in Europa e negli Stati Uniti. E le notizie non finiscono qui. Infatti il 24 gennaio sarà pubblicata l’antologia Supergrass: The Stranger Ones 1994-2008, contenente – oltre ovviamente ai brani più conosciuti – un sacco di materiale inedito nel quale spicca la sentita ballata acustica Bury My Heart, qui in versione demo che si riallaccia direttamente alle rivisitazioni unplugged di alcune canzoni che il gruppo relegò come lati B. Al centro di tutto c’è sempre Gaz Coombes che si riafferma come uno dei migliori cantautori inglesi della sua generazione.

Oltre il britpop, l’Inghilterra e tutto quello che c’è e ci può essere stato in mezzo.

Supergrass Gaz Coombes 

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