Da idolo delle ragazzine a rocker infatuato del grunge, tra eccessi e colpi di testa.
Il rock italiano per le masse è sempre stato rappresentato da due noti cantanti – il cui nome non c’è nemmeno bisogno di riportare – che continuano tuttora a riempire stadi (o ex aeroporti) a colpi di sold out.
Questo è quanto, perché altri validi esempi (Afterhours o Marlene Kuntz, per esempio) non sono mai arrivati in veri territori mainstream, così come invece accaduto a diversi gruppi americani a inizio anni Novanta. A ben vedere, anche noi abbiamo un interprete che avrebbe potuto traghettare il rock meno radiofonico – quello più distorto, influenzato da gente come Pearl Jam, Soundgarden e Radiohead – in classifica. E invece.
Dischi come Campi di Popcorn e (soprattutto) La Fabbrica di Plastica rimangono i lavori più rappresentativi di un tizio che solo un istante prima si era imposto come idolo per le ragazzine e poco dopo aveva – inaspettatamente – cambiato strada. Spiazzando tutti, dal suo manager alla sua etichetta discografica fino ad arrivare al suo pubblico.
Le ragazzine, si sa, non perdonano e infatti gli voltarono ben presto le spalle, le vendite calarono da due milioni di copie vendute con il suo primo lavoro alle, irrisorie, 150 mila del suo secondo. Dopo anni di incerto vagare – nei quali i nuovi cantautori della scena indipendente italiana lo hanno riscoperto arrivandolo a citare come fonte d’ispirazione – Grignani torna con un singolo che ha più di un punto in comune proprio con i suoi due migliori album.
Messe da parte certe inopportune Vaschizzazioni che erano prepotentemente entrate nella sua proposta musicale, si riaffaccia sulla scena con una canzone che convince. Ora non rimane che attendere i nuovi dischi (si mormora che saranno ben tre), sperando siano convincenti proprio come Tu che ne sai di me.