Il pianismo emo-pop che colpisce e affonda la disillusione di un enochiano.
Dardust, compositore e pianista, si destreggia con un incipit alla Allevi nei giorni di pioggia, che poi innaffia di arrangiamenti dubstep e vagamente progressivi. Questo alternarsi di alto e basso, contaminazione e purezza, finiscono per trascinare l’ascoltatore in un tugurio di incertezze e fragilità un po’ burinesca. E a escalamare: «ma che so’, froci?!?»
Le immagini avvicinano il sonoro drammatico e un po’ figoso a scenari di profonda sofferenza, dipendenze acute e momenti di esaltazione quasi biblica tra un crampo e un conato di stomaco. E in tutto questo avvicendarsi di vita che sorride e vita che soffre, la musica ci afferra il cuore e lo tira in alto come una pallina da tennis.
In alto verso i tetti delle case di periferia, il sole biondo di un mattino da zombie che invadono la terra e un cielo sonoro che ingiustamente può essere patrimonio di tutti, i lestofanti della filodiffusione e i temerari cercatori di Bandcamp.