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Moses Sumney: Virile
E se si lamenta di non trovare abbastanza amore nel mondo lui...

Tutte le cinquanta sfumature di prodigio.

«A conceptual patchwork about grayness» recita la press release di græ, il secondo album di Moses Sumney, che vedrà la luce in due parti, nel corso dei prossimi sei mesi. Ovvero – provando a sorvolare sul malcelato (quanto mal riuscito) tentativo di poesia – “un accrocchio concettuale sul grigiore”. Direi che fa già ridere così. E comunque, se nel quasi 2020 ancora confidate sulle parole di un comunicato stampa per farvi l’idea di un disco, non saranno certo questo paio di righe a salvarvi dall’estinzione.

Eppure, in fondo al barile delle frasi a effetto, c’è uno strato di verità. Infatti, dopo aver passato l’intero album di debutto a crucciarsi di quanto sia un peccato non riuscire più a sperimentare il vero amore romantico nell’era di Tinder, l’artista californiano adesso allarga la visuale del suo rammarico e prende atto dell’attuale drammatica assenza di valori assoluti, abbracciando la miriade di toni di grigio che ogni giorno sconfigge la visione di una vita in bianco e nero. Niente che non sia già stato fritto e rifritto a più voci, insomma: dalle pippe indie dei Pavement agli ammiccamenti di qualche blockbuster soft-porn.

Ma qui la storia è diversa. Perché Moses Sumney eccelle quando alza il livello della sfida. Sfida sia di genere (ovvero su quanto sia complicato definire la sua produzione), che di aspettative (ovvero sui modi che trova per presentarla).

Virile lo vede – come pretende il titolo – bello come una costata di manzo al sangue appesa al chiodo della cella frigorifera di una macelleria, unto al punto giusto e con la tartaruga ben in evidenza. Perché anche l’occhio vuole la sua parte. Per il resto, scommetteresti ancora su un certo R&B liscio da lasciar scivolare sotto le lenzuola e invece ti ritrovi con una stretta alle palle che ti fa mancare il fiato, fatta di accordoni che saprebbero di crossover nu-metal, se non fossero schiacciati come un insetto sul pianoforte.

È la bellezza brutale del post-umano, il soul che si fa spina nel fianco, l’ennesimo passo avanti della musica black.

Moses Sumney 

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