Uscire vivi (ancora una volta) dall’inferno di Kabul, il luogo notturno dove la musica è la via di salvezza.
Lasciarsi sorprendere dalla svolta elettronica di Mark Lanegan è un po’ come non conoscere i suoi gusti e la sua storia.
L’ex Albero Urlante, nato nel 1964, è cresciuto ascoltando i Joy Division e Nick Drake, i Depeche Mode e i Gun-Club, i New Order e Son House, per poi diventare un’icona grunge quasi per caso, grazie all’estro psichedelico e stropicciato dei fratelli Conner e al fatto di essersi trovato nel posto giusto (Ellensburg, sua città d’origine, è a circa cento miglia da Seattle) al momento giusto (fine anni Ottanta).
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Night Flight To Kabul – tratto dal suo ultimo lavoro Somebody’s Knocking, prodotto dall’eccellente Alain Johannes – è un pezzo dalla dinamica cinematica e vivace, dove solo la voce sulfurea e pastosa di Mark (che nel frattempo è tornato a fumare) fa ricordare che la chiamata dell’abisso (presente nella metafora di Kabul) è sempre un passo al di qua della caduta definitiva.
Eppure il coriaceo Lanegan, un sopravvissuto frequentatore degli oscuri anfratti dell’esistenza, continua il suo percorso un passo dopo l’altro, un album dopo l’altro, avvalendosi di collaboratori che gli garantiscono un corridoio verso la salvezza (in ultimo Martin Jenkins e Sietse Van Gorkom).
Il risultato non è mai banale: che lo si infiocchetti di rock (come nei Queens of the Stone Age), di elettronica o che lo si lasci gravitare in un blues minimale il timbro di Mr. Bubblegum è sempre un affondo nelle viscere, lì dove le ombre si infrangono per trasmutarsi in catarsi e bellezza.