Rappare su basi metal non è roba per fighetti.
Quando a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 ci furono i primi segnali di un crossover tra il rap e il metal (anticipato dal divertissement tra Aerosmith e Run DMC) gli Anthrax erano già lì, prima con I’m The Man e poi con il singolo (a cui seguì un famigerato tour) con i Public Enemy (che campionarono anche gli Slayer). I Beastie Boys ospitavano Kerry King e i Faith No More frullavano un po’ tutto. Rap e metal: due mondi apparentemente agli antipodi che trovavamo reciprocamente nuova linfa vitale fino a creare un sottogenere a sé. Chiedete ai Rage Against the Machine.
Nulla però, perlomeno nel medio mainstream, era violento e crudo come i Body Count di Ice-T. Dal 1992, veri e propri animali sopra e sotto il palco, capaci di anthem politicamente scorretti come Evil Dick o la celeberrima Cop Killer. Dischi censurati ovunque e concerti che finivano regolarmente in rissa. Dei bravi ragazzi, insomma.
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E dato che il lupo perde il pelo ma non il vizio, anche adesso che sono uomini di mezza età, il risultato è comunque devastante.
Carnivore si apre con un’intro sinistra prima di deflagrare avanzando con passo letale su un mid tempo quadrato dove le chitarre malate si rincorrono tra riff brevi e micidiali con guizzi dissonanti. Il tutto crea un atmosfera paranoide e pesante, mood che collima in pieno con il piglio selvaggio di Ice-T mentre sputa rime al vetriolo come se ne andasse del proprio onore. Sembra quasi di vederlo negli occhi. Ed è incazzato. Molto.
Anni e anni di wannabe con chitarre a sette corde e braghe larghe alle ginocchia spazzate via in tre minuti netti. Ancora.