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Black Midi: Ducter
Il nero protocollo della nuova musica underground.

Una tirata d’orecchie a tutti quelli che sostengono non ci sia più niente di interessante in giro.

Schlagenheim. O della musica senza genere. O di ogni genere. Un album che deve essere passato nelle orecchie di tutti coloro che possono (o vogliono) definirsi musicofili. I Black Midi sono qui. E sono per tutti i gusti. Anche se su YouTube qualche simpatico commento li definisce semplicemente come gli Swans che incontrano i Talking Heads. Altri – altrettanto semplicemente – the next big thing nel panorama della musica inglese.

Se volessimo indicare un genere di riferimento – proprio davanti a una rivoltella puntata alla testa – potremmo buttare lì un math-rock. O un ancora più generico art-rock. Ma non si capirebbe la profondità dell’ultimo tassello di questo grande lavoro, uscito per Rough Trade il 21 giugno 2019. Experimental-rock, dai, la chiudiamo così. Un po’ This Heat, Pere Ubu, tanto Talking Heads appunto. Ma anche molta personalità e originalità.

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PrendiamoDucter, ad esempio. Ciclo ritmico ossessivo, reminescenza kraut berlinese, frizzante, vocal che passano da un mondo a un altro. Visioni lo-fi che si mischiano a groove da discoteca etnica, piglio rock’n’roll, figosità cool da pubblico hipster e qualità tecnica degna del nome. Non sembra certamente poco. Provare per credere.

Da canzoni come questa si deve passare per provare a capire quanto sia importante aprire veramente le orecchie (e la mente) per non fermarsi all’ostracismo ferreo del “non c’è più musica interessante in giro”. Ed esaltarsi poi ancora per l’ultimo ed ennesimo remake, ristampa, remix, re-editing, sequel, prequel e strategie varie. Bah. Geordie Greep, Matt Kwasniewski-Kelvin, Cameron Pincton e Morgan Simpson forse l’hanno vista lunga e con le loro trame sperimentali hanno scosso l’underground musicale di quest’anno.

Black Midi 

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