La netta differenza tra il suonare un genere e l’averlo plasmato.
Tralasciando qualche fase dove il moniker ha riposato (problemi con case discografiche, incompatibilità artistiche, ego che cozzavano tra loro, varie ed eventuali) sono 42 anni che gli Wire pubblicano album. E la cosa incredibile è che non ne hanno mai fatto uno davvero brutto, anzi: le ultime uscite sembrano essere ebbre di un’ispirazione rinvigorita, convincendo sempre di più ascolto dopo ascolto.
Non fa eccezione questo nuovo singolo, preambolo di Mind Hive, in uscita il 24 gennaio 2020. Una vero e propria gemma post-punk (termine riduttivo in questo caso) arioso, all’apparenza semplice (il tutto si gioca su uno schema ripetuto tre volte) ma dove basta un cambio di nota imprevista o una stratificazione sonora in più a cambiare completamente il mood e la densità del brano.
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Questo distingue nettamente gli epigoni dai maestri: gli Wire non corrono più come matti su e giù dal campo, ma giocano di fino, facendo comunque la differenza. Non devono più dimostrare nulla a nessuno se non a loro stessi, e questa maturità artistica li rende slegati e liberi da qualsiasi freno.
Dove manca l’urgenza, fa capolino il genio ormai rodato. È una dote che abbraccia pochi capostipiti di un genere, al cui cospetto (nuovamente) siamo costretti a inchinarci.