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Ozzy Osbourne: Under The Graveyard
Bark at the moon with my autotune

Ozzy Osbourne
Under The Graveyard

Non si diventa leggende per caso (lettera aperta al signor Osbourne).

Caro Ozzy,
la cosa è semplice.

Uno non diventa te a caso. E non bastano nemmeno manovre di marketing mirate o case discografiche che spingono: quello va bene per le meteore, non per qualcuno che da quando ha capito come rollarsi una canna fino a quando ha dovuto iniziare a mettersi solo le pantofole perché non riusciva più ad allacciarsi le scarpe, ha passato tutto il suo tempo dietro a un microfono.

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E non stiamo nemmeno parlando di uno con una voce stellare: non hai mai brillato in tecnica. Ciò nonostante hai un timbro e uno stile riconoscibile tra milioni ed è per quello che ti si perdona anche il drammatico uso dell’autotune che ha infestato le ultime uscite.

Tocca passare sopra anche a certe tue frequentazioni, tipo il rapper Post Malone, perché comunque alla fine ti sei fatto coinvolgere nella registrazione di un album tuo vero e proprio. Tanto lo sappiamo che tu manco lo conoscevi sto tizio. Ci sarà stato lo zampino di tua moglie .

Sei diverso. Come lo era Lemmy. Come lo è Iggy. Come pochi altri. Piaccia o meno alla gente, stai su un altro livello.

Perché se sei Ozzy schiocchi le dita e ti ritrovi in studio a suonare con dei fan che nel frattempo ti hanno superato nelle vendite e nel successo, eppure farebbero qualsiasi cosa per collaborare con te.

Perché se sei Ozzy puoi permetterti di cantare testi che in bocca a qualsiasi ultrasettantenne suonerebbero come un campanello d’allarme che porta dritti al TSO. Ma tu ti mangiavi i pipistrelli, sniffando formiche, mentre pisciavi su monumenti nazionali e quindi coerentemente continui a essere credibile nella tua pazzia.

Per esempio, questo nuovo singolo apripista proprio non ce lo si aspettava. Suona melodico. Decadente. Grunge. Metal. Stoner. Sabbath. Indie. Doom. Quello che ti pare. Tanto sono tutti generi che hai contribuito a far nascere e sviluppare. Al primo ascolto ti sembra la solita solfa, ma al decimo non riesci a togliertelo dalla testa e allora diventa lampante quel tuo tocco magico, destinato a pochi: sai rendere straordinaria la banalità.

Ma tu sei Ozzy. E sarà terribile quando non ci sarà più un nuovo pezzo da ascoltare. Quindi, lunga vita a te. E grazie.

Ozzy Osbourne Black Sabbath 

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