Buttate via tutti i manuali: ecco la sintesi di ciò che dovrebbe essere il post-punk.
C’è una differenza abissale tra la forma e la sostanza. E sono ormai troppi anni che escono dischi solo formalmente ispirati al post-punk inglese, alcuni anche molto belli, assolutamente, ma a cui manca sempre qualcosa. Perché è facile imitare suoni, look, refrain, liriche. Meno semplice è riuscire a farlo mantenendo quasi intatta l’attitudine originaria. Il punk (come tutti i figli bastardi che ha generato nell’arco di una manciata di anni) veniva dal basso. Era urgenza comunicativa. Era spingere al massimo le proprie capacità tecniche a favore sempre e solo del pezzo (e/o del messaggio). Era grezzo, diretto, maledettamente efficace. Le sue diramazioni cambiavano semplicemente il “modo”, ma l’attitudine era invariata.
Questo scopiazzare (male) ha rotto i cosiddetti. Ma c’è speranza.
Per chi è stufo di dandy annoiati che giocano a fare gli Ian Curtis del sabato sera, vengono in soccorso gli Italia 90. Forti di un paio di EP, i quattro reietti originari di Brighton e di stanza a South London hanno l’attitudine cruda e diretta che troppo spesso manca nel post-punk prêt-à-porter dei giorni nostri. Stroke City inizia in preda a un impeto positive figlio degli Ausgang con un cantato Oi!, per poi trasformarsi in un trip paranoide che sembra uscito da Join Hands dei Banshees. Chitarra monocorde, voce con marcato accento del sud, un mantra recitato politicamente scorretto, disturbante e ipnotico. Produzione minimale ed efficace, sezione ritmica implacabile.
«You never thought / That one day they would come for you / You’re not a criminal / And politics ain’t what you do / You just close your eyes and smile / And take a life»
This is the real deal.