Sogni ricorrenti da giocare al lutto.
Dopo una cosa del genere è difficile andare avanti. Figuriamoci ricominciare. Molti non ci riescono (penso con rammarico agli Offlaga Disco Pax). Quelli che ne sono capaci, lo fanno sotto un altro nome (diciamo i New Order, ma la lista è lunga), come a chiudere rispettosamente un capitolo. Per una band mediamente numerosa forse è più semplice: la percentuale che si perde è inferiore rispetto al tutto. In due è davvero dura: significa restare fermi a metà di un racconto, in una simbiosi interrotta che non promette nulla di buono.
Joshua Eustis ci ha messo dieci anni a elaborare il lutto per la tragica scomparsa di Charlie Cooper. O almeno a trovare la forza di rimettersi in pista. Torna oggi con Dreams Are Not Enough e decide di farlo ancora dietro al moniker Telefon Tel Aviv, marchio di fabbrica che all’inizio di questi cazzo di anni Zero ha contribuito non poco a plasmare un certo tipo di elettronica moderna, diversa. O, se non altro, a tenerla al riparo dal crescente rumore che avrebbe fatto la bolla dell’EDM una volta esplosa.
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Più che un album, la presa di coscienza di una condizione irreversibile, ben descritta dall’immagine che si compone mettendo i titoli delle nove tracce uno dietro l’altro: «I dream of it often: a younger version of myself, standing at the bottom of the ocean; arms aloft, mouth agape, eyes glaring, not seeing, not breathing, still as stone in a watery fane».
Perché quando si tratta di colmare un’assenza, i sogni non sono mai abbastanza e allora l’unico modo è imparare a fraternizzare con quel senso di vuoto, parlare la sua stessa lingua asciugando le canzoni stesse ed eliminando dai mix finali tutti gli elementi superflui e non necessari alla guarigione, finendo così per incorniciare la mancanza in un’istantanea che contiene sia quello che non c’è che il poco che è rimasto.