Come estrarsi un dente. Da soli. A mani nude. Senza anestesia.
E poi… a chi assomigliano?
Si tende a racchiudere tutto in sottogeneri, eppure, seppur formalmente diversa, la band più vicina a H&M (carino il molteplice gioco di parole/senso, vero?) per intensità, efficacia e trasposizione in musica del dolore sono i Godflesh, guarda caso sempre un duo (se tralasciamo qualche breve parentesi a tre). Anche lì le musiche sono mantra che inchiodano senza pietà e i testi (brevi ma maledettamente corrosivi e taglienti) attivano la regione travagliata dei nostri neuroni.
Dietro le pelli si siede un “non necessario” appena subentrato. Cambia qualcosa? Come facilmente intuibile dal titolo, no. La title track dell’EP in uscita non corregge il tiro, lasciando l’ascoltatore senza né fiato né speranze. Al massimo la furia è meno cieca e più incanalata verso una forma-canzone meno ostica, sempre tenendo conto della radice del tutto. Una frase sussurrata viene spazzata via da un vortice di violenza apparentemente senza controllo che spiana qualsiasi cosa non facendo prigionieri. Le grida che sentiamo sono gli echi dei mostri che ci nascondiamo dentro. Per quello proviamo fastidio fisico: non parlano a noi, bensì danno voce alle nostre fragilità, alle paure, alla rabbia.
Se la musica strappa i nervi e ne fa fili su cui stendere i panni sporchi delle proprie debolezze, l’immagine resta severa come è giusto che sia. In un’epoca dove la sofferenza viene messa in piazza sui social come fosse uno spettacolo acchiappalike, l’anonimato dei nostri è l’unico bagliore di cruda onestà nel buio della farsa grottesca dei giorni d’oggi.