Il rap come se fosse fatto dai Throbbing Gristle.
I Clipping una volta erano clipping. – con la minuscola e il punto finale. Ora, stando al loro account YouTube (che riprende il titolo del loro secondo album), forse addirittura clppng – come se si fossero contratti in un codice fiscale. Vai a sapere: dopotutto, l’importanza del lettering delle band è inversamente proporzionale al grado di ossessività con cui ti fanno notare che lo stai sbagliando. E ai tre manipolatori californiani la cosa non sembra interessare granché.
Quel che ci tengono a ribadire è invece quanto sono bravi a fare musica che mette a disagio, roba che ti fa accelerare il battito cardiaco, serrare le mascelle e digrignare i denti laddove la lingua duole. Musica con cui non ti puoi rilassare. Non puoi leggere, non puoi guidare, non puoi stare a parlare con qualcun altro, mentre ascolti i Clipping. L’unica cosa che puoi fare è arrenderti alle potenti, brutte vibrazioni che ti inizieranno a salire su dalle palle fino a quel groppo in gola che si va ingrossando sempre più.
This Is America di Childish Gambino ha tracciato, sul terreno arido del lato visuale dell’hip-hop, una crepa da cui non si può più tornare indietro. I Clipping – fortuna o genio, non fa differenza – erano già dal lato giusto del burrone e ora non fanno che affondare il coltello nella piaga, portando la questione al livello di un saggio teorico-pratico sul concetto di orrore dalle Black Panther ai giorni nostri.
Non è un caso che, come Donald Glover, anche Daveed Diggs sia un attore prima che un rapper e che si trovi a suo agio tanto nella homepage di Netflix quanto nel sudiciume del ghetto. Solo così puoi riuscire a ridurre le 5K battute mitragliate dal testo di Blood of the Fang in un video di quattro minuti, che farebbe sorridere il Dr. House, anche se alle prese con un’operazione a cuore aperto su un kalashnikov.
Come prevedibile, c’è tanto sangue. Ma vale ogni goccia.