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Julie's Haircut: Sorcerer
Giovanotti rigidamente alternativi

Sopravvivere agli anni Novanta per invecchiare come il vino buono.

Se c’è un gruppo per cui vale la pena di sprecare un aggettivo ingombrante (e spesso sottovalutato) come “solido”, questi sono i Julie’s Haircut. E il fatto che vengano da un paese in cui anche solo una minima idea di stabilità è un lontano, appannato ricordo, non fa che segnare un ulteriore punto in loro favore. Sto parlando dell’Italia, sì.

Spuntati con le radici profonde di una vite di lambrusco da quell’Emilia che negli anni ‘90 ha partorito forse le migliori cose del panorama nostrano, la band di Luca Giovanardi (l’arrogante bottegaio di colliniana memoria) non si è fatta mancare nulla, riuscendo a sopravvivere a tutta la gavetta necessaria per sognare un irreale (e poi, come era facilmente pronosticabile, irrealizzato) mainstream dei tempi d’oro: da Supersonic, a Tora! Tora!, all’MTV Brand: New Tour.

Ce l’ha fatta grazie a un trucco vecchio come il gioco delle tre carte, ma che funziona – come il gioco delle tre carte – solo se sei capace di metterlo in pratica in maniera perfetta: non restare mai uguali a se stessi. Sette album in vent’anni, messi in cascina assaggiando come un navigato sommelier le etichette più interessanti dello Stivale (Gamma Pop, Homesleep, Woodworm) e partendo da un iniziale garage-rock che metteva i Dinosaur Jr. nelle mani di Jon Spencer, fino ad arrivare a sperimentazioni noise mai fini a se stesse e a una propria grammatica intima, che finalmente mette in chiaro il senso che può avere la parola “psichedelia” fuori dai Seventies.

In The Silence Electric è l’ottavo album e Sorcerer ne annuncia la buona novella costruendo attorno a un tono metallico standard di base un pezzo ossessivo fino allo spasmo, che conferma la costante brillantezza di un proposta a tutti gli effetti europea, facilmente esportabile ma ancora, disgraziatamente, troppo poco esportata.

Julie's Haircut 

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