Amore: pratiche e tabù, irrisioni e irriverenze.
«La donna troverà dell’ignoto! I suoi mondi d’idee saranno diversi dai nostri? – Troverà cose strane, insondabili, ripugnanti, deliziose; noi le prenderemo, le capiremo». Così scriveva Rimbaud nella famosa Lettera del Veggente. E nell’arte è ormai chiaro che siamo al tempo in cui la donna ha trovato finalmente il suo linguaggio autentico e specifico.
Jenny Hval è una paladina di questo assetto. Si pensi, ad esempio, a Blood Bitch (2016) dove mestruazioni, vampiri e sangue sparso negli horror diventavano canoni paradigmatici dell’essere femmineo. O ancora, il grande – e forse più importante lavoro – Innocence Is Kinky. Dove… beh, il titolo è già abbastanza provocatorio così com’è.
Uno dei suoi romanzi si chiama Paradise Rot: A Novel. E molti dei suoi interventi sulla letteratura non sono certo da meno in quanto a personalità, irriverenza e sapore scandalistico. La compositrice norvegese è un personaggio da non sottovalutare. E anche stavolta, con il nuovo The Practice of Love ci troviamo di fronte a un album significativo, seppur meno entusiasmante delle premesse che potevano scaturire dalla sua personalità, evolutasi attraverso impudenze, tabù esplicitati e irrisioni culturali.
Il titolo riprende quello del film austriaco del 1985, diretto da Valie Export. Era stata proprio lei a dire: «Lasciate che le donne parlino di modo tale da trovare loro stesse, questo è quello che chiedo per raggiungere un’immagine definita da noi stesse e per una diversa visione della donna nel sociale». Il tema del disco, uscito lo scorso 13 settembre, riprende quelle tonalità nevrotiche familiari e matrimoniali tipiche di quella che consideriamo la pratica dell’amore.
In Accident il revival elettropop prende di certo il sopravvento sulla sperimentazione. Il video e il testo battono ancora sul tema della maternità e della gravidanza non voluta di nuovo metafora per più ampie considerazioni. E nonostante ci si potesse aspettare qualunque cosa – forse più legata alle produzioni precedenti con la Rune Grammofon – la Hval sceglie di settarsi su coordinate art e synth pop piuttosto consuete, pur regalando un brano che funziona fin dal primo ascolto.