Virginiana Miller, english edition: ora si parla d’ America (ma senza video girati in California).
Negli ultimi tre, quattro anni son successe un paio di cose che, verso la fine degli anni ‘90, erano quantomeno impensabili nella scena indie rock italiana: Manuel Agnelli sdoganato nel mainstream e i Virginiana Miller che cantano in inglese.
La band livornese, che esordiva nel 1997 con Gelaterie Sconsacrate e che poi, con regolarità ma senza fretta, regalava lavori di grande caratura (La Verità sul Tennis, 2003), ha effettuato una virata totale e spiazzante: «in italiano non abbiamo più voglia di dirvi niente», hanno annunciato, lanciando il nuovo album The Unreal McCoy .
Ora, il vocione di Simone Lenzi grazia la lingua inglese: non proprio con l’accento del Wisconsin, ma credibile. Una scelta che prevedibilmente disorienterà i fan della prima ora.
Soprattutto, è un disco che parla d’America attraverso immagini note: le insegne delle stazioni di servizio, le strade puntellate di trailer, il “sunday roast”, Dio che ci salverà.
E anche la musica prende una piega diversa: schiaccia l’occhio a forme tradizionali di folk e richiama i racconti dei cowboy, tramandati da padre a figlio.
Di pezzi azzeccati ce ne sono diversi, ma Old Baller è forse quello più incisivo. Racconta di un giocatore d’azzardo caduto in disgrazia, che rimane in attesa di una donna che non tornerà “seduto sul bordo della mia piscina vuota”.
Anche questo è molto americano.