Una primaverile ventata di pessimismo e fastidio, atmosfere cupe e glorioso disincanto britannico.
La primavera è nell’aria: siamo a pochi giorni dalla nuova stagione e già si sente profumo di sole, panini al prosciutto e antistaminici.
Ed è esattamente questo il momento di tirar giù le tapparelle e chiudersi al buio in cameretta – mentale o fisica, ha importanza? – ad ascoltare il nuovo, tribolato progetto solista dell’inglesissimo Tim Bowness (No-Man insieme all’amico Steven Wilson, presente anche in questa traccia).
Il romanticismo cupo di questo pezzo compiacerà tutti gli estimatori della nebbia e dei Tool: in alcuni punti, sostituendo la voce di Bowness con quella di Maynard Keenan, si faticherebbe persino a stabilirne la genuina paternità.
Ma i rimandi possibili non finiscono qui; a tutti gli orfani di David Bowie viene offerta una sonorità familiare e mai scontata – oltre che del tutto autentica, provenendo da un artista agli antipodi dei millennial.
Il messaggio è quello di un uomo disincantato che fa i conti con tutto; una parabola dell’irrequietudine che si sprigiona nella mente degli “over” (decidete voi quanto) incastrati in un’infanzia rediviva, nonché colma d’interrogazioni genitoriali e senso di disfatta generico.
La risposta è ferma, tuttavia: è il mondo ad essere ingiusto, noi non c’entriamo. Ed così che veniamo assolti nel continuare a cantare le nostre nenie e sentirci inadeguati con gli anfibi ad agosto, nella nostra comfort zone.
Segnaliamo infine un confronto tra il minuto 2’45” di It’s the World col minuto 5’54” di Thru the Eyes Of Ruby degli Smashing Pumpkins di Mellon Collie and the Infinite Sadness (1995).
(lo sento solo io?)