Prima ti fa venire il mal di testa e poi te lo cura: Steve Aoki, un nome, una garanzia – a sto giro veramente in buona compagnia. (disponibile anche in bustine idrosolubili)
Quando Steve Aoki prende una canzone dei Blink 182 e ne fa un remix (come nel caso di Bored to Death dell’anno scorso), dopo i primi trenta secondi di sobrietà degenera in una zarrata da giostre che “prendi il codino bambino, prendi il codino” – e ti vien voglia di salire sui calcinculo e sparare alle lattine per vincere il pupazzo di Pikachu, con sprazzi di gabber qua e là, mentre dentro senti compiersi la tragedia e istintivamente vuoi rubare autoradio.
Ma quando compone un pezzo inedito e invita i Blink 182 a metterci lo zampino, allora la solfa cambia: tutto, improvvisamente, diventa “catchy’n’classy” e verrebbe un po’ da pensare che lo scopo sia ripulirsi e darsi un tono a discapito di uno dei più longevi gruppi punk rock dopo i Green Day.
In realtà Aoki non è nuovo a sortite extra-technolandia e, di solito, i risultati sono eccellenti. Come qui, con Matt Skiba (Alkaline Trio, ma da qualche anno stabile in formazione coi Blink) che spinge con una certa spensieratezza, Travis Barker che si prodiga in evoluzioni polipesche e Mark Hoppus che fa il cinquantenne adolescente (molto meglio di tanti altri).
Se penso alle collaborazioni passate, come quella con i Bloody Beetroots di WARP o Darker than Blood con i Linkin Park, trovo che Aoki sia oltremodo giocherellone e abbia capito il vero senso della musica: imbastardirla, sempre e comunque, sempre di più, nella spasmodica ricerca del suono di domani (usando quello di ieri).
Gliene diamo atto e ascoltiamo un pezzo che, senza indugi, al Festivalbar avrebbe certamente spaccato.