Musica per pianeti disciolti, stelle implose e galassie lontane.
Quando si parla di impatti sonori “importanti” (e massicci), oggi, sembra impossibile non riferirsi a una band come i Russian Circles. Le lodi spettano soprattutto a Mike Sullivan, uno dei più interessanti chitarristi heavy metal di ultima generazione (beh, forse penultima o terzultima… ma il punto è un altro).
Il trio di Chicago, infatti, ormai da quindici anni raccoglie entusiasmi da parte di fan e critica, perlomeno nel proprio ambito di nicchia. Merito della cura certosina riservata al sound, sempre più ingigantitosi nel corso degli anni ed evidentemente massificatosi nel pregevole Guidance del 2016.
Il prossimo (settimo) album degli americani, Blood Year, è passato ancora una volta per le mani attente del produttore Kurt Ballou e dagli studi di registrazione di Steve Albini.
Arluck fa da apripista col suo incedere epico e monumentale, capace di disegnare immagini anche senza alcun accompagnamento visuale: un pianeta lontano che si scioglie lentamente; una galassia altrettanto distante e irraggiungibile; le stelle che implodono in maniera inesorabile nello spazio profondo.