Quel che sarebbe diventato Spiderman se, invece che da un ragno, fosse stato morso da un Leone. Nel senso di Sergio.
C’è un nuovo supereroe mascherato che veglia su questa città.
Buono a sapersi: ne avevamo bisogno a prescindere, visti i tempi che c’è toccato in sorte di viverci dentro. Ma, appurato questo, la questione da dibattere è un’altra: esiste forse un mistero meno misterioso dell’ennesimo enigmatico artista che piomba in incognito – ma sempre e comunque enigmaticamente di proposito – tre le righe dell’ennesimo enigmatico comunicato stampa? Dubito.
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Ciò che è meno comune dell’essere un enigmatico artista è invece essere un enigmatico artista convincente. Perché una cosa è avere le palle per presentarsi al mondo senza faccia e armati di una bio che offre al buon senso più domande che risposte; un’altra è regalare all’immaginario popolare un’idea – e, nello specifico, delle canzoni – abbastanza appetitosa da lasciare le sue papille gustative non proprio affamate, ma almeno curiose di capire se nel menu è compreso qualcos’altro.
È questo il caso di Orville Peck? Secondo quelli della Sub Pop sì, visto che l’hanno messo sotto contratto convinti del suo potenziale e si sono pure sforzati di inventargli addosso un genere ad hoc, quell’enigmaticissimo “homoerotic cowboy-pop” che vuol dire tutto e nulla ma, in termini di copywriting stretto, denota uno sforzo creativo decisamente superiore alla fortunata intuizione che a suo tempo mise in moto tutto il carrozzone del cosiddetto “grunge” (quasi a costo zero).
Questo secondo singolo, che anticipa l’album di debutto Pony, sembra confermare la cosa, visto che sfido chiunque a non lasciarsi affascinare da un simile, disperato crooning western vestito da wrestler, da certe ritmiche ambient-shoegaze che riportano il concetto di country dentro un’attualità disarmante, dal minuzioso lavoro su una caliginosa lap-steel guitar che profuma di legno, polvere e sesso a buon mercato, come le pareti delle stanze di un bordello vero.
Orville Peck è il deserto che sta tra Tex Willer e M¥SS KETA, la voce di Alex Cameron che narra una sceneggiatura di David Lynch, il pistolero camuffato da fantasma di Jim Reeves che, da ora in poi, proteggerà il nostro sonno. Nella speranza di incubi migliori.