Come svelare a Fiorella Mannoia che si può fare musica di un certo peso politico anche in maggiore.
«Sogghignarono in molti, ma io me ne infischiavo perché avevo applicato a quella canzone degli echi poetici che fanno parte della nostra sensibilità». Questo scriveva un (ex) avvocato astigiano, noto come uno dei più grandi cantautori del nostro paese, a proposito della sua Azzurro.
L’inno ufficiale dei farmaci per la chinetosi ha due chiavi di lettura perfettamente agli antipodi, con un testo che fa sobbalzare gli adulti e una melodia che diverte i bambini; al centro un’evidente volontà di andare controcorrente, raccontando l’estate di un uomo rimasto da solo in città.
Margherita Vicario applica, forse inconsapevolmente, le stesse anarchiche regole a un brano che parla della vita nelle grandi città italiane che nascondono, sotto gli occhi di tutti, mondi nuovi, lontani eppure fraterni.
In questa canzone c’è tutto il rispetto, la curiosità e l’accoglienza di cui siamo capaci; c’è l’affettuoso profilo di «Mandela – l’indiano che mette benzina» che viene incoraggiato a sorridere perché questo posto è anche il suo, qui dove «prendi la metro e scendi a l’Avana» e come tanti «ceni a Milano, dormi a Tijuana».
Quella che canta è una bambina che non ha paura, e mette in bocca a tutti una melodia indimenticabile; quella che scrive è una donna, che parla alle orecchie dei troppi demagoghi insegnando una semplice lezione di umanità.
La Vicario è anche attrice e il suo produttore, Davide Pavanello (Linea77), è anche musicista: mi pare logico supporre che fare due mestieri contemporaneamente promuova l’intelligenza.