Panorama, il nuovo album de La Dispute, millanta ampie vedute nel suo ottimistico titolo, ma lascia qualche perplessità nel retrogusto – soprattutto considerando il fatto che arriva quasi nello stesso momento della ristampa preparata in occasione del decennale del loro logorroico (ma interessante) debutto Somewhere at the Bottom of the River Between Vega and Altair.
Coincidenza che dà adito a qualche giustificato sospetto, al punto che Amazon, influenzato dal suo evolutissimo motore di ricerca interno, sostiene sia una mera operazione di marketing; infatti, non esita a proporci l’acquisto dei due in una combo leggermente scontata.
Qua, in primo grado, siamo favorevoli alla presunzione d’innocenza (almeno fino a che non verranno messe agli atti prove più schiaccianti). Ci limitiamo ad analizzare i fatti, quindi, che dicono che ne è sì passata di acqua sotto i ponti, ma ci deve essere stata una perdita da qualche parte, visto che del fiume di partenza è rimasta giusto la pozzanghera di cui si parla in questo ultimo singolo e dove, ormai, alla band statunitense non resta che pucciare i piedi per darsi quantomeno una rinfrescata (sperando che quei passi avanti che sembra incapace di fare non ci rimangano impantanati per sempre).
A poco serve il tentativo visuale di mascherare il tutto con una rivisitazione della mitologia greca, in cui Arianna regala a Teseo, invece che il classico filo, uno di quegli aggeggi elastici fluorescenti che gli ambulanti fanno volare la sera nei cieli delle nostre piazze – e lui fraintende in toto il suo compito, finendo per liberare il Minotauro invece che farlo fuori. Perché, purtroppo, il resto conferma che sempre lì siamo: più dalle parti degli At The Drive-In che dei Refused, ma senza la “garra” né l’esuberanza sfacciatamente prog che permetterebbe a Jordan Dreyer e compagni almeno di andare a solleticare le suole dei maestri.
Nel senso, continuiamo pure a chiamarlo “post-hardcore”, ma il motore di ricerca interno di PornHub – quello sì ancor più evoluto e, per sua natura, maliziosissimo – lo ghettizzerebbe più volentieri nella categoria un po’ ammosciata di un pudico “post-softcore” (se proprio di “post” si deve parlare).