Pretend that we’re dead, un po’ come gli anni ‘90.
Come state, ora che gli anni ’90 sono morti?
Come state, ora che i braccialetti fluo dei vostri migliori rave e i vostri poster anneriti dei Nirvana sono stati triturati nel cassonetto mediatico del lutto?
↦ Leggi anche:
L7: Dispatch From Mar-a-Lago
Slagheap: Caffeine
(per giunta, insieme al “bbono” di Beverly Hills 90210)
Che irresistibile tentazione, decretare la fine di qualcosa. Eppure presto uscirà un nuovo album delle L7. Avete presente? Quelle che lanciavano Tampax usati sulla folla del Reading Festival; quelle che lottavano per la libertà riproduttiva della femmina. Quelle che dicevano che infiltrare le masse attraverso MTV era un’azione sovversiva: solo così si poteva entrare nelle stanze dei ragazzini di periferia.
Le ragazzacce abbandonarono le scene agli albori degli anni ‘00, dopo aver alzato, e di molto, l’asticella del concetto di “divertirsi in tour”. Poi, quattordici anni dopo, Donita Sparks chiamò le tre socie storiche e disse loro: «Non dovete decidere ORA: ma considerate l’idea di tornare a suonare insieme».
Scrollata di dosso un po’ di ruggine e dopo vari concerti (uno anche in Italia), un documentario finanziato con una campagna su Kickstarter (L7: Pretend We’re Dead), due singoli seminati qua e là, arriva ora il singolo Burn Baby Burn, che anticipa il nuovo album Scatter The Rats – in uscita a maggio con la Blackheart Records, l’etichetta di Joan Jett.
È Il primo disco dopo vent’anni. Lo sberleffo alla morte di una punk band californiana passata d’ufficio nel registro del grunge. Contesto in cui stava benissimo, peraltro: c’era la sfrontatezza, c’erano i riff, c’erano i pezzi.
La pensavano così anche i Prodigy, che una di quelle canzoni se la presero e ne fecero una cover in The Fat of the Land. Era Fuel My Fire. Strano, vero, ricordarlo ora?
Ora che i 90’s, ancora una volta, si fingono morti.