Fatevi conquistare dal caldo, instabile abbraccio di Jordan Rakei: lui sa come abbattere le vostre certezze.
Per Jordan Rakei, ventisettenne produttore neozelandese, le cose hanno cominciato a girare benissimo quando nel 2015 da Brisbane, Australia, si è trasferito a Londra. Sapeva che, per fare il grande salto, doveva compiere un gesto estremo: sovraesporsi. Incontrare gente ogni giorno – cosa a cui non era proprio avvezzo.
Lui, polistrumentista di chiara estrazione jazz, se l’è praticamente suonata e autoprodotta da solo per anni. Poi nel 2017 la Ninja Tune lo ha messo sotto contratto, dicono, dopo che qualcuno dell’etichetta shazzammò una sua canzone in un bar (forse questa).
E così è arrivato l’album Wallflower: un lavoro che prendeva le distanze dalla sua produzione precedente, collocandolo in quella strana categoria denominata new wave UK – qualunque cosa essa significhi.
In questo caso, un soul con l’abbraccio elettronico più caldo e malato che la storia recente abbia sentito, con una gamma di rimandi che vanno da D’Angelo a James Blake, passando per Jeff Buckley. Un percorso che continua col nuovo album, Origin, in uscita a giugno, anticipato proprio da Say Something e dal precedente Mind’s Eye.
Vale la pena farsi un corso accelerato di Rakei sulla sua pagina Bandcamp o andando ad ascoltare la sua collaborazione con i Disclosure.
Fatevelo, questo regalo.