Al contadino non far sapere che c’è ancora chi sa fare bene il suo mestiere.
Riuscite a immaginare un mondo in cui James Brown ha una relazione extra-musicale con Tullio De Piscopo, e insieme fanno delle telefonate notturne a Michael Jackson per sbertucciarlo e poi attaccare? Fabio Rondanini l’ha fatto. E ha trovato anche fior fior di musicisti a dargli man forte nella realizzazione della sua visione.
All’appello: Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion con cui, si narra, si sprigionò la primordiale scintilla), Alberto Ferrari (Verdena) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle) – tutti vicini di banco e seduti in fondo, perché loro la lezione è da un po’ di anni che non la seguono ma la danno.
Ed è proprio quest’insubordinazione che ci regala un suono apolide ma inequivocabilmente tribale, nordafricano di Padova ma anche milanese di Bari Vecchia (e idealmente incorniciato da una bella copertina “zen”, opera di Alessandro Scarful Maida).
Per tutto il disco, utilizzo smodato di wah wah e campanaccio e magistrali incalzate berbere che ricalcano l’andamento dei cammelli nel deserto (e innescano la voglia di slanciare l’anca su e giù, su e giù, incuranti della carenza di vitamina D).
Sull’ipotetica mensola li mettiamo sopra Zu, Fratelli Calafuria e Los Coronas, perché in mezzo non ci stanno – ma vicini sì.
Nota di colore: unico caso al mondo di band italiana il cui cantante si spiega meglio in inglese.
(sorvolo subito/se è porno, tolgo)