Cori da stadio per una dolce intimità ultras.
Leggi “gobbi” e ti aspetti come minimo una faida ultras in cui un esercito di juventini viene affogato nelle acque viola dell’Arno.
E, invece, scopri che quei colori bianconeri che potevano confondere le idee, suggerendo pensieri di azioni truci di cui vergognarsi prima del fischio di inizio, sono in realtà quelli del Cesena Football Club, onorata compagine dalla storia illustre ma dalle alterne fortune in termini di classifica, un tempo nota come Associazione Sportiva Dilettantistica Romagna Centro Cesena. Un nome, un destino segnato.
Non che ciò sminuisca l’eroismo del gesto. Perché, in termini di sfrontatezza sfacciata e coraggio incosciente, andare a cantare un pezzo come questo nel bel mezzo di Piazza Maggiore, indossando la maglia del mitico Emiliano Salvetti, ha lo stesso valore del presentarsi un Curva Fiesole vestiti così.
Giuseppe Gobbi è a modo suo un figlio d’arte – il padre, detto Fosforo, fu campione di Sarabanda – e sfoggia la padronanza innata per una sorta di guerrilla marketing al contrario tipica dei millennial (quel certo mood da sfigato costruito ad arte, i profili social ufficiali provocatoriamente camuffati da profili fake, una delicata dichiarazione d’amore fatta con la grammatica grezza di un coro da stadio) e un gusto per la melodia giusta che richiama i peggiori (o migliori) interpreti dell’ultimo pop nostrano. Cesare Cremonini? Tiziano Ferro? Sentitevi liberi di sparare a ventaglio, tanto l’impressione è che non scalfirete le sue (in)sicurezze nemmeno con un graffio.
Ma arriviamo al dunque. C’era davvero bisogno di un nuovo Calcutta da riviera che prendesse l’immaginario nazional-(pop)olare di un pallone di provincia in cerca di rivincite per farne note da sbaciucchiare via-Instagram Story?
La domanda suona retorica, eppure il dubbio rumoreggia in sottofondo: e se la risposta fosse un drammatico “forse sì”?