La regola del tre e la storia di una che, se volesse, potrebbe far da sé.
Che tre sia il numero perfetto è un mantra che ci hanno inculcato in testa fin da piccoli, e i fatti sembrano confermare la cosa.
Ma la storia ci insegna pure che la perfezione non fa differenze, sconti e nemmeno prigionieri. Non a caso, l’altro lato della medaglia recita “troubles always come in threes”, modo di dire di non ben chiara origine, ma ben diffuso e confermato dall’esperienza, prima, e dalla legge di Murphy, poi.
Ci sarà un motivo se compare come statement ufficiale sul sito dei Brutus, band belga che in effetti di casino ne fa a pacchi, anche grazie al coraggio con cui ha preso la “regola del tre” applicata alla musica – ovvero l’essenziale sufficienza del concetto di “power trio” – e l’ha rivoltata come un calzino, portandone l’elemento in genere più nascosto, dalle seconde linee, rumorosamente al centro della scena.
Stiamo parlando di Stefanie Mannaerts, del suo drumming tanto preciso quanto invasato e del suo cantare belluino – per una metà la versione metal di Dolores O’Riordan, per l’altra una Björk che qualcuno ha fatto incazzare più di quanto riuscì a Beyoncé quella volta. Aggiungeteci un bel faccino, che mai guasta, e capirete che anche lo spassionato, recente endorsement “made in Metallica” non è arrivato per caso.
Perché ok che oggi preferiamo ricordarlo tutti solo come mascotte, buono giusto a suonare questa roba per i nostri nipotini, ma la verità è che, in tema di batteristi (e belle donne), il buon Lars Ulrich c’ha ancora il naso lungo.