Insonnia d’avanguardia per pensare in grande (a patto di uscirne vivi).
Per comprendere Billie Eilish dovete far così: prendete Lana Del Rey, traslatela in una versione più “emo”, più spaventata, meno gatta morta e senza video girati in Super 8. Poi sovrapponetela a Likke Li e aggiungete quel che manca di personalità: risultato garantito.
Billie, sedicenne losangelina, è la sintesi horror delle cantautrici visionarie e tristi californiane (anche d’adozione). Se non perisce nelle fobie che un’adolescente sarebbe meglio non avesse, è senz’altro destinata a fare grandi cose.
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Già le sta già facendo, a dire il vero: grazie a canzoni come Ocean Eyes e When the Party’s Over, è l’artista più giovane ad aver fatto breccia nella Top 10 della classifica di vendite statunitense Billboard.
Il singolo Bury a Friend l’ha fatta conoscere meglio anche al pubblico italiano e ha anticipato l’album di debutto, When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, uscito il 29 marzo. Un pezzo giocato sul minimalismo industrial e un intreccio di voci che, se non fosse per l’età dell’artista che rende improbabile la similitudine, ricorderebbe quasi le sperimentazioni di Laurie Anderson.
Qui si racconta la paralisi del sonno e la classica sindrome del mostro sotto il letto: le paure ataviche che non riusciamo ad affrontare. Specie quando il mostro sotto il letto siamo noi stessi.