L’ex enfant prodige dell’indie rock americano, assieme a una giovane stella nascente, convince sin dal primo ascolto.
Si dice che Robert Allen Zimmerman si ispirò a Dylan Thomas, quando nel 1961 adottò il nome d’arte Bob Dylan (fatto negato più volte dal menestrello di Duluth, ma tant’è). Nel 2004, quando Conor Oberst con i suoi Bright Eyes iniziò a vendere un sacco di dischi e arrivò persino a fare da spalla dal vivo a Bruce Springsteen, tutti parlavano del giovane cantautore di Omaha proprio come del nuovo Bob Dylan.
Ora, però, il ragazzo è cresciuto. Arrivato alla soglia dei quaranta, e dopo alcune (insipide) uscite in solista e vari progetti paralleli, ha formato una nuova band insieme alla bionda Phoebe Bridgers, artista indie più vicina ai venti che ai trenta.
I due, dopo vari indizi disseminati sui social, un ispirato duetto sul debutto della ragazza e qualche oscuro concerto, hanno finalmente inciso un disco, distribuito in anticipo e a sorpresa sulle varie piattaforme, ben prima della sua uscita “fisica” nei negozi.
Dylan Thomas (!) è il primo estratto dal loro azzeccato album d’esordio. Un classico pop rock elettroacustico in cui, curiosamente, la voce della Bridgers la fa da padrona e dove Oberst rimane in disparte quanto basta per non risultare invadente. Un ottimo inizio, sperando che il progetto non si fermi qui. Cioè tra i solchi di un lavoro dalla durata di poco meno di quaranta minuti, che ha comunque l’indubbio merito d’intrigare sin dal primo ascolto.