Gente che torna come se nulla fosse e suona come se, nel frattempo, nulla fosse successo.
Il mondo prima dell’internet, visto da qua (dai tempi dell’internet, intendo) fa quasi tenerezza, se non addirittura – musicalmente parlando, soprattutto – pure un po’ di nostalgia.
Per dire: è così evidente che certe band il loro nome l’hanno scelto in un periodo in cui le informazioni ancora dovevi andartele a scovare in posti che esistevano davvero (giornali, redazioni, concerti, dischi), senza nemmeno poter immaginare l’attuale, sconfinata e incrollabile fiducia nell’orientamento a (s)vista sulla superficie di un virtuale World Wide Web.
Nel senso, provate pure a digitare “american football” sul vostro amato Google, ma non aspettatevi niente di diverso da una lista di risultati buoni giusto per farvi una cultura su quarterback, Superbowl e campionato NFL, in generale.
Un EP risalente ai giorni in cui l’unico strumento disponibile per non perdersi online era AltaVista (ovvero un motore di ricerca che non ha mai funzionato), un primo disco l’anno dopo, diciassette anni di silenzio, un secondo album nel 2016 e un terzo in uscita a breve. Tutti, rigorosamente, intitolati soltanto American Football. Così, per mettere in ulteriore difficoltà i naviganti con poca fantasia in termini di keyword.
In pratica, Mike Kinsella e soci – gente di poche parole per natura, in quanto “post-rock” dentro – mentre la nostra società diventava il mostro digitalizzato che abbiamo sotto gli occhi, sono andati a letto presto e la mattina, di buon ora, hanno atteso lungo la riva del famoso fiume il suo cadavere scomposto in bit e byte, senza proferire una nota.
Riprendono il discorso con un pezzo di sette minuti e mezzo, per gran tratti strumentale, analogico nello spirito e totalmente anti-commerciale per la struttura: fuori luogo e fuori tempo, da mordere senza fuggire e assaporare con una calma a cui le nostre papille gustative interrotte dalla frenesia di un clic selvaggio non sono più abituate.
Comunque vada, sarà un (in)successo.