Essere o non essere? O essere qualcos’altro? O essere altrove? E se poi ci si perde? Come ritrovarsi? Tocca cercarsi. Ma come cercarsi? Val la pena di cercarsi da soli o meglio chiedere agli altri se ci hanno visto in giro ultimamente (così, per sapere almeno da dove inziare a cercare)? Queste le domande, in ordine sparso.
Il bisogno di capire chi veramente siamo (spesso nella vana speranza di scoprirsi qualcun altro) è una delle più grandi debolezze dell’uomo. Deve essere per questo che la ben nota “ricerca di se stessi” è stata, nei secoli dei secoli, uno dei temi più dibattuti e sviscerati sotto ogni forma del sapere: dalla maieutica del metodo socratico al Siddartha di Herman Hesse, dalla beat generation “on the road” alle più belle frasi di Osho, dai selfie in piscina a cercarsi su Google.
Debolezza a cui non si sottrae nemmeno Ron Gallo che, dopo un trascurabile debutto da buttare nel secchio di un certo freak-folk riciclato e il successivo (ottimo sin dal titolo, all’insegna di un’amara ironia, trascinante e velenosa) Heavy Meta, si prepara a una nuova inversione a “U” spirituale (almeno in termini di contenuti – musicalmente, sempre di un art-punk belloccio e stravagante si tratta) con il nuovo Stardust Birthday Party, in arrivo a ottobre.
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Riassumendo: finita in maniera burrascosa la sua ultima relazione sentimentale, ha comprato un biglietto per la California e ha partecipato a un ritiro di meditazione in un isolato centro specializzato, dove giura di aver trovato il suo personale sentiero verso la pace interiore. Tutto è bene quel che finisce bene.
Così eccolo, nel video diretto da Dylan Reyes, vestito da imbianchino hipster, portare il concetto di “self-discovery” direttamente nel mondo di un Amazon Prime versione DIY, e mettere in versi una critica dal retrogusto di carciofo nei confronti del maledetto logorio della vita moderna, dove – a causa della facilità con cui è possibile accedere all’infinita quantità di informazioni che ogni giorno ci bombarda da destra e da manca – è facile perdere di vista priorità e coordinate, sentendosi di conseguenza smarriti, al punto da non avere nemmeno il coraggio di aprire la propria scatola.
Tre minuti e mezzo che ricordano l’energia paranoica dei primi Devo, mentre scorrono via veloci, alternando frasi corte e d’impatto a sproloqui filosofici parlati (mutuati da Eckhart Tolle e Alan Watts) per arrivare comunque alla confortante conclusione secondo cui il senso dell’esistenza è… «just to be alive».
Chi s’accontenta gode, diceva il saggio.