Nessuno l’avrebbe mai detto, ma la piacevole sorpresa è che Riccardo Sinigallia è venuto a riprenderci (senza impegno e senza preavviso).
Riccardo Sinigallia, visto da fuori, è sempre sembrato uno colto da una strana maledizione, una piccola, frustrante legge di Murphy allo specchio che ha finito per fargli seminare tanto per veder raccogliere, in termini di notorietà spicciola, quasi esclusivamente i suoi vicini, il campo dei quali è sempre più verde.
Riccardo Sinigallia è infatti colui che – in mezzo a tutto il resto – ha contribuito a rendere ciò che sono gente come Niccolò Fabi e Max Gazzé, quello che ha regalato ritornelli epici a Frankie HI-NRG, fatto toccare ai Tiromancino vette di notorietà mai più nemmeno sfiorate e (giusto per rimanere in tempi recenti) portato Francesco Motta fuori da Pisa, dai Criminal Jokers e soprattutto dai vent’anni.
Insomma, una carriera di produttore di successo che ha fatto quasi dimenticare a molti che il cantautore romano è innanzitutto, appunto, un cantautore. Il problema è che, per un certo periodo, se ne era dimenticato pure lui: dopo tre album per niente banali, con una famiglia, due bambini e una certa indifferenza generale nei confronti delle sue composizioni, la possibilità di credere nella sua attività personale iniziava a scomparire all’orizzonte. Poi è andata che lo hanno chiamato a Sanremo e da lì si è innescato – nonostante la squalifica – una specie di circolo virtuoso (il passaggio alla Sugar, l’incontro con Caterina Caselli e tutta una serie di nuovi stimoli e gratificazioni).
La vita è strana: per dire, mai avremmo scommesso di dover dire grazie a Fabio Fazio.
Così, a quasi un lustro di distanza dal precedente Per Tutti, arriva Ciao Cuore: una piacevole, valida sorpresa, perfettamente riassunta nella sua titletrack e nel relativo video pieno, come al solito, di parenti (la moglie Laura Arzilli, i figli Manuel e Lori) e amici di sempre (su tutti un Valerio Mastandrea che – con quella faccia un po’ così e quell’espressione un po’ così che ormai lo caratterizzano – riesce lo stesso a strapparti un sorriso, nonostante un pezzo dal testo tanto minimale quanto profondo).
Ecco.
Questo sarebbe il momento in cui rammaricarsi per il fatto che – probabilmente, quest’anno ancora – per trovare il miglior disco cantato in italiano dovremo andare a raschiare sul fondo del barile in cui abbiamo richiuso a lavorare onestamente gente che va per la cinquantina e che, teoricamente, dovrebbe (se non proprio aver fatto il suo tempo) almeno continuare a fare “la sua cosa”, conscia che la ribalta è pronta per nuove leve di qualità.
O forse no.
Meglio continuare a godersela, finché dura. Perché a un certo punto arriverà per forza il momento in cui saremo costretti a rassegnarci, anche in questo senso, ad «ammettere di essere soli».
E allora… “ciao core” proprio.