Se Tom incontra un vecchio amico per cantare una di quelle canzoni che conosciamo proprio tutti.
Da una parte ci sono Richard Ashcroft e Alice Cooper, che pensano che i musicisti non dovrebbero parlare di politica. Dall’altra c’è Marc Ribot – talentuoso chitarrista del New Jersey – che pubblica un disco pieno di riletture di canti partigiani, ballate di protesta messicane e brani cantati negli anni ‘60 durante le manifestazioni per i diritti civili americani.
Songs of Resistance 1942 - 2018 è il venticinquesimo album solista di Ribot che, per l’occasione, ha radunato i compagni di una vita, da Steve Earle a Syd Straw. Non poteva certo mancare Tom Waits, che per primo lo ospitò su un suo disco (Rain Dogs); forse non poteva nemmeno mancare, considerando i temi trattati, una reinterpretazione del più noto degli inni adottato dai partigiani contro l’occupazione nazifascista.
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Nella rilettura dei due, Bella Ciao diventa un’oscura ballata acustica che si ricollega spiritualmente a chi per primo ha cantato canzoni di protesta, discostandosi dalle versioni più “pop” rese celebri da Goran Bregović o dai Modena City Ramblers (per fortuna).
Negli anni ‘40 Woody Guthrie girava il suo paese armato di una chitarra acustica con scritto sopra “This Machine Kills Fascist”; ottant’anni dopo Ribot e Waits incidono un vecchio inno della resistenza, indirizzandolo alla (secondo loro) indegna amministrazione Trump. Tra le pieghe della voce di Tom – che in più di un momento pare spezzarsi in due – c’è tutto il dolore delle persone che non poterono riabbracciare i propri cari; nella chitarra di Marc, l’indignazione civile di un popolo che non si sente per nulla rappresentato dal proprio Presidente.
Per ogni periodo oscuro della nostra storia ci sarà sempre qualcuno che canterà «… è questo il fiore del partigiano / morto per la libertà». Poco importa l’idioma scelto, la resistenza continua. E questa è una delle canzoni più importanti del 2018 – anche se è stata cantata per la prima volta tanto, tanto tempo fa.